Ricevo e pubblico la lettera di un lettore riferita a una esperienza di produzione di energia proveniente da fonti rinnovabili relativa a un impianto fotovoltaico, non molto felice.
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Ho atteso questo momento con una piccola punta di orgoglio: un po' perché mi rendevo indipendente dai combustibili fossili utilizzando l’energia autoprodotta e un po’ perché aiutavo il mio Paese a liberarsi dalla dipendenza del gas relativamente ai miei consumi.
Nessuno però degli organi competenti si è preoccupato di verificare che l’allaccio di una nuova abitazione fosse compatibile con le potenzialità o con le caratteristiche della cabina elettrica posta a poche centinaia di metri o della linea elettrica attraverso cui prelevo corrente o immetto l’energia elettrica in eccesso prodotta dal mio impianto fotovoltaico.
Come se un idraulico dopo aver completato l’impianto idrico di casa lo consegna al cliente senza controllarne il funzionamento. Mi sono accorto molto presto che qualcosa non andava. La tensione in casa andava da 170 Volt (quando in inverno avevo un forte consumo di elettricità) a 260 Volt quando non c’erano prelievi di corrente e il sole splendeva.
Gli sbalzi di tensione, oltre i limiti di legge, comportano un forte stress per tutti gli elettrodomestici e un possibile danno per quelli più sensibili a tali variazioni (la fine di un mio computer che rimaneva acceso per molto tempo potrebbe avere avuto proprio questa causa). Per evitare ciò, sono stato costretto in pieno inverno a spegnere in molte occasioni l’impianto di riscaldamento, a non usare il forno o a ridurre notevolmente la temperatura dell’acqua calda sanitaria, con le conseguenze che si possono immaginare.
Dall’inizio da fine febbraio invece, quando il fotovoltaico raggiunge la potenza di circa 2.0/2,5 kW, il problema è inverso. Per non far aumentare in modo eccessivo la tensione in casa e non far andare in blocco l’inverter, sono stato costretto ad accendere l’impianto di raffreddamento o altri elettrodomestici, non necessari, per non mandare in rete e quindi sprecare l’energia prodotta dal fotovoltaico.
Alla luce di questi fatti (il mio caso non è certo l’unico ma è comune a migliaia o centinaia di migliaia di altre famiglie e di altri impianti), la tanto sbandierata quanto necessaria transizione energetica ed ecologica sembra essere un gigante con i piedi di argilla, dove i “piedi di argilla” sono le reti locali e in modo particolare quelle in ambito agricolo.
Cercando di quantificare lo spreco, considerando il funzionamento dell’impianto di raffreddamento per circa 6 ore al giorno (che non avrei acceso perché non necessario) e tenendo conto di una potenza sprecata di 2,5 kW, si ottiene un consumo di 15 kWh/giorno. Moltiplicando quest’ultimo valore per 100 giorni (il tempo intercorso da quando ho dovuto dirottare l’energia prodotta verso un utilizzo non necessario) si ottiene un valore di circa 1500 kWh.
Questo valore rappresenta il consumo medio di 1 anno di una famiglia di 2 persone che non hanno il climatizzatore ma hanno Tv, scaldabagno elettrico, computer, lavatrice, lavastoviglie e frigo. In conclusione, io ho sprecato in poco più di 3 mesi quello che un’ipotetica famiglia di 2 persone consumerebbe in 1 anno. In passato la stragrande maggioranza della popolazione pensava che il passaggio alle rinnovabili fosse “facoltativo” perché a subirne le conseguenze sarebbero state le generazioni successive.
Oggi, con la carenza o con la possibile mancanza del gas russo, la transizione è “obbligatoria” per tutti, in modo particolare per gli enti o le amministrazioni che si occupano della produzione e del trasporto dell’energia, ai quali non dovrebbero essere più permesse inefficienze o inadempienze del tipo di quelle descritte.
Fa bene il governo a fare piani ambiziosi sulle rinnovabili, infatti sono previsti 70 GW di nuovi impianti entro il 2030, quasi 8 GW ogni anno per raggiungere l’obbiettivo. Nel 2021 però ne sono stati installati solamente 1,35 GW. Ce la faremo?
Sicuramente sarebbe altrettanto utile concentrarsi nel ridurre drasticamente gli sprechi, adeguando le reti alle nuove esigenze. Riempire un secchio con tanti buchi è un’impresa impossibile oltre che dispendiosa e antieconomica. Ce la faremo?
Nicolò Spinicchia
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